Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
C’era un tempo in cui Elisa collezionava cose che nessuno voleva più: una tazza sbeccata, una foto senza volto, una lampadina bruciata, un biglietto del treno dimenticato.
Diceva che ogni oggetto, anche il più inutile, ha una memoria.
E che buttare via qualcosa significava abbandonarla due volte: nel mondo e nel cuore.
Da quando Silvano se n’era andato — non con una valigia, ma con un respiro che non era più tornato — lei aveva riempito casa di piccoli fantasmi materiali.
Ogni oggetto era un “non ti scordare di me” travestito da soprammobile.
Il negozio delle cose perse
Un giorno, passeggiando senza meta, trovò un’insegna che non aveva mai visto: “Dove vanno le cose che amavamo”.
Era un piccolo negozio, stretto tra una lavanderia e un barbiere chiuso da anni.
La porta cigolava come una vecchia voce.
Dentro, scaffali pieni di oggetti che sembravano provenire da sogni dimenticati: una scarpa sola, una lettera senza indirizzo, un guanto con dentro ancora il profumo di qualcuno.
“Posso aiutarla?” chiese il negoziante, un uomo con la barba bianca e gli occhi color cenere.
“Non so cosa cerco.”
“Nessuno lo sa, quando entra qui.”Elisa guardò una mensola e vide qualcosa che le fece tremare il cuore:una piccola bussola, identica a quella che Silvano teneva sempre in tasca “per ricordarsi dove non andare mai”. “Quanto costa?”
“Nulla. Le cose che amavamo non si vendono. Si restituiscono.”
Il patto
“Posso tenerla?”
“Sì, ma in cambio deve lasciarmi qualcosa di suo.”
“Come un oggetto?”
“Come un ricordo. Uno che non le serve più.”
Elisa chiuse gli occhi.
E lasciò andare il giorno in cui aveva smesso di credere di poter ridere.
Quando li riaprì, la bussola era calda tra le mani, come se fosse appena uscita da una tasca viva.
Il ritorno
A casa, la posò sul comodino.
Ogni tanto la bussola tremava, come se cercasse una direzione che non esisteva più.
E in quelle notti in cui il silenzio diventava troppo grande, Elisa la seguiva.
La freccia la portava sempre nello stesso punto del parco, vicino alla panchina dove lui le aveva detto:
“Non ti prometto per sempre, ma ti prometto che finché ci sarò, sarai casa.”
Lei ci andava, sedeva lì e sentiva — o forse immaginava — un respiro accanto al suo.
Non piangeva più.
Solo ascoltava.
Epilogo
Un mattino, tornando al negozio, trovò la porta chiusa e un cartello scritto a mano:
“Abbiamo traslocato altrove. Ma non preoccuparti: le cose che amiamo trovano sempre la strada di casa.”Elisa sorrise.
Da allora, ogni volta che qualcuno le diceva che doveva “lasciare andare”, lei rispondeva piano:
“Non si lascia andare ciò che si ama. Si lascia camminare.”